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Salute, innovazione e crescita

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La produzione di salute è ricchezza generale ed economica del Paese e l’innovazione tecnologica riunisce due valori aggiunti: incrementa la salute della popolazione e il PIL. Molti problemi del sistema sanitario possono essere risolti con l’innovazione tecnologica e generale.

Ma tutto è fonte di spesa, condannato ad un miope ostracismo. Perciò le politiche della Salute, almeno nel nostro Paese, rischiano di non retribuire l’innovazione. Confindustria continua a ribadire che la sanità è una grande area di sviluppo economico, di ricerca e di occupazione (3 milioni di addetti, 11% del PIL). Ma gli addetti all’economia frenano. Per fare economia si taglia sull’economia. Eppure si sa che la spesa sanitaria non è una variabile indipendente della ricchezza economica di un paese. Ci sono forse paesi poveri in buona salute?

La sanità, ammesso di disporre di una strategia adeguata (che manca), ricaverebbe gran giovamento se si concepissero politiche della Salute capaci di abbinare riforma a innovazione. Non basta dire che la competitività è funzione della sostenibilità. Si provi perciò a considerare nuove ipotesi di lavoro che non siano petizioni di principio sul valore dell’innovazione. Per prima cosa serve un patto anticorruzione perché i prodotti biomedicali, i farmaci, le tecnologie sono spesso oggetto di transazioni immorali tra imprese produttrici, burocrazie aziendali e responsabili istituzionali. Ciò dilata i costi dell’innovazione riducendo le sue possibilità di impiego. Si tratta non di innovare procedure ma di vincolare le transazioni a condizioni verificabili, che andrebbero remunerati o incentivati, cioè assunti come fattori di competitività.

Un secondo aspetto è quello di distinguere la produzione di salute come ricchezza generale del paese, dalla produzione di cura come ricchezza economica. Se l’innovazione tecnologica contribuisce ad accrescere la salute della gente e il PIL, è un evidente punto di convergenza tra ricchezza sociale ed economica. E se l’impatto dell’innovazione è positivo, il suo valore economico non può prescindere da quello sociale.

Un terzo punto è quello di definire proprio l’innovazione. Forse possono servire queste indicazioni di massima:

  1. Mai truccare il gioco: chi produce beni barando danneggia tutti.

  2. Mai considerare ciò che è nuovo automaticamente migliore di ciò che è vecchio.

  3. Non necessariamente il nuovo coincide con il buono, il giusto con il meglio. Il vecchio perciò non è automaticamente da buttare.

  4. Ciò che non è innovativo non può essere considerato automaticamente superato.

  5. Se innovativo significa semplicemente più recente non è automaticamente da preferire.

  6. Il valore del Nuovo deve essere specificato nelle sue caratteristiche autentiche.

  7. Il valore del Vecchio deve essere ridefinito nella sua attualità.

  8. Ciò che è buono e funziona non è mai vecchio ma attuale.

  9. Ciò che è attuale ma non è buono in misura maggiore o non funziona meglio, non può essere definito nuovo.

Occorre definire in forma partecipata un concetto sistemico di innovazione obbligandoci a considerare il suo governo dentro reti di supporto, dentro organizzazioni non casuali. L’innovazione dovrebbe essere la risultante media di un rapporto a somma positiva tra economia, spesa pubblica e società. Per avere lo spazio che merita dovrebbe essere riconsiderata in un progetto di riforma del sistema pubblico. Innovazione come riforma o riforma come innovazione?